Codice di Procedura Penale art. 550 - Casi di citazione diretta a giudizio 1 .

Sergio Beltrani

Casi di citazione diretta a giudizio1.

1. Il pubblico ministero esercita l'azione penale con la citazione diretta a giudizio quando si tratta di contravvenzioni ovvero di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 415-bis [5522]. Per la determinazione della pena si osservano le disposizioni dell'articolo 42.

2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche quando si procede per i reati previsti dagli articoli 336, 337, 337-bis, primo e secondo comma, 340, terzo comma, 343, secondo comma, 348, terzo comma, 349, secondo comma, 351, 372, 374-bis, 377, terzo comma, 377-bis, 385, secondo comma, con esclusione delle ipotesi in cui la violenza o la minaccia siano state commesse con armi o da più persone riunite, 390, 414, 415, 454, 460, 461, 467, 468, 493-ter, 495, 495-ter, 496, 497-bis, 497-ter, 527, secondo comma, 556, 588, secondo comma, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime, 590-bis, 611, 614, quarto comma, 615, primo comma, 619, secondo comma, 625, 635, terzo comma e quarto, 640, secondo comma, 642, primo e secondo comma, 646 e 648 del codice penale, nonché quando si procede per i reati previsti3:

a) dall'articolo 291-bis del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;

b) dagli articoli 4, quarto comma, 10, terzo comma, e 12, quinto comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110;

c) dagli articoli 82, comma 1, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309;

d) dagli articoli 75, comma 2, 75-bis e 76, commi 1, 5, 7 e 8, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;

e) dall'articolo 55-quinquies, comma 1, del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165;

f) dagli articoli 5, comma 8-bis, 10, comma 2-quater, 13, comma 13-bis, e 26-bis, comma 9, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;

g) dagli articoli 5, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.4.

 

3. Se il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale con citazione diretta per un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare [416 s.] e la relativa eccezione è proposta entro il termine indicato dall'articolo 491, comma 1, il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

 

[1] Il libro VIII del codice, comprendente gli articoli da 549 a 567, è stato interamente sostituito dall'art. 44 l. 16 dicembre 1999, n. 479

[2] Comma così modificato dall'art. 2-duodecies d.l. 7 aprile 2000, n. 82, conv., con modif., nella l. 5 giugno 2000, n. 144.

[3] Alinea modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b-bis), d.l. 1° ottobre 2024, n. 137, conv., con modif., in l. 18 novembre 2024, n. 171 che ha inserito le seguenti le seguenti parole: «e quarto» dopo le parole: «635, terzo».

[4] Comma sostituito dall'art. 32, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.  Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Il testo del comma, come da ultimo modificato, dall'art. 1, comma 5 lett.f), l. 23 marzo 2016, n. 41, era il seguente:  «2. La disposizione del comma 1 si applica anche quando si procede per uno dei seguenti reati a) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 336 del codice penale; b) resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 337 del codice penale; c) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell'articolo 343, secondo comma, del codice penale; d) violazione di sigilli aggravata a norma dell'articolo 349, secondo comma, del codice penale; e) rissa aggravata a norma dell'articolo 588, secondo comma, del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime; e-bis) lesioni personali stradali, anche se aggravate, a norma dell'articolo 590-bis del codice penale; f) furto aggravato a norma dell'articolo 625 del codice penale; g) ricettazione prevista dall'articolo 648 del codice penale ».

Inquadramento

Nel « rito pretorile » si prevedeva che il P.M., all'esito delle indagini preliminari, se non riteneva di avanzare al G.i.p. richiesta di archiviazione o di emissione di decreto penale di condanna, emettesse direttamente il decreto di citazione a giudizio, senza il filtro del giudice dell'udienza preliminare (cfr. il “vecchio” art. 554 comma 1); l'emissione del decreto era di competenza del g.i.p. nei casi in cui vi fosse stata l'emissione di un decreto penale di condanna seguita dalla rituale opposizione (cfr. il “vecchio” art. 565 comma 2). Coerentemente con le esigenze di massima semplificazione e di celerità del rito (rappresentate dall'art. 2 n. 103 l. n. 81/1987, per l'emanazione del nuovo c.p.p.), si era ritenuto di poter sottrarre il decreto di citazione a giudizio al controllo giurisdizionale del g.i.p., attribuendo al p.m. un ruolo particolarmente incisivo (non limitato alla conduzione delle indagini, ma propulsivo e determinante ai fini del rinvio a giudizio e del possibile indirizzo ai riti alternativi), ma, al tempo stesso, comprimendo indiscutibilmente, in virtù della soppressione dell'udienza preliminare, le garanzie di difesa dell'imputato, che veniva citato a giudizio direttamente ad opera della controparte, e non da un giudice terzo ed imparziale.

La giurisprudenza costituzionale (Corte cost., n. 22/1995), nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 2 n. 103 l. delega 16 febbraio 1987, n. 81, e art. 554 c.p.p., nel testo all'epoca vigente, aveva escluso che la distinzione tra reati per i quali il rinvio a giudizio avveniva da parte di un giudice terzo all'esito dell'udienza preliminare, e reati per i quali esso aveva luogo direttamente ad opera del p.m.-controparte, si ponesse in contrasto con l'art. 3 Cost., osservando che « la direttiva espressa al n. 1 della legge di delega per il codice di procedura penale fissa già il principio della massima semplificazione del processo, con la conseguenza che i “criteri di massima semplificazione” richiesti dalla direttiva n. 103 per i procedimenti innanzi al pretore non possono che tradursi in una ulteriore semplificazione degli istituti e dei meccanismi previsti in via generale per il procedimento avanti il tribunale, e d'altra parte, pur con la massima semplificazione, è garantito in ogni caso, all'imputato, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., il diritto alla immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità. Non può perciò dirsi che — come sostenuto dal giudice a quo — le disposizioni della legge di delega — art. 2  n. 103 — e del codice — art. 554 — che, riguardo al processo pretorile, rispettivamente prevedono l'esclusione dell'udienza preliminare e l'emissione del decreto di citazione a giudizio da parte del pubblico ministero, diano luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento degli imputati in tale processo rispetto agli imputati nei procedimenti innanzi al tribunale, in quanto, nei primi, non garantirebbero il diritto del cittadino di non essere tratto in giudizio sulla base di n'accusa infondata ». L'assetto originariamente pensato dal legislatore (con la l. delega 16 luglio 1997, n. 254 ed il d.lgs. n. 51/1998, recante norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) per il nuovo processo penale riproponeva la suddetta diversificazione, ma l'adozione indiscriminata del “vecchio rito pretorile” per gli affari attribuiti al giudice monocratico aveva prodotto (in corrispondenza delle nuove e più ampie attribuzioni del giudice monocratico rispetto al pretore) un deciso ampliamento delle fattispecie nelle quali l'udienza preliminare non aveva luogo e l'imputato veniva citato a giudizio direttamente dal p.m.; il “sistema” aveva sollevato perplessità più o meno unanimi nella dottrina, e lo stesso legislatore non aveva nascosto analoghe perplessità, osservando, nella relazione al d.lgs. n. 51/1998, che il consistente trasferimento di attribuzioni al giudice monocratico, con il conseguente impatto sulla struttura e la funzionalità del rito pretorile, evidenziava ab origine l'opportunità di ridisegnare detto rito, ispirato ad esigenze di estrema semplificazione, e perciò inidoneo ad assicurare sufficienti garanzie in relazione a reati di maggiore gravità, pure rientranti (unitamente a quelli già di competenza pretorile) nell'ambito delle attribuzioni del giudice monocratico.

Per tali ragioni, la l. n. 479/1999 (recante, tra l'altro, modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica) ha apportato significative “varianti in corso d'opera” all'assetto pensato originariamente per il rito monocratico, da un lato, restringendo l'ambito delle attribuzioni del giudice monocratico, dall'altro, “ridisegnando” il rito in tema di citazione a giudizio, prevedendo che il pubblico ministero (salvo che si proceda con rito alternativo: si pensi al procedimento per decreto ovvero al giudizio immediato) possa esercitare l'azione penale in alcuni casi (e, cioè, per i reati indicati dall'art. 550, ritenuti meno gravi e comunque tali da poter “tollerare” un rito semplificato), con la citazione diretta a giudizio e senza lo svolgimento dell'udienza preliminare, e negli altri casi, attraverso la richiesta di rinvio a giudizio presentata al giudice dell'udienza preliminare, a norma dell'art. 416 (il g.u.p., all'esito dell'udienza preliminare, provvederà, ricorrendone i presupposti, all'emissione del decreto che dispone il giudizio).

Nel caso di rigetto della richiesta di archiviazione, con ordine di formulazione dell'imputazione, spetta al p.m., una volta adempiuto a tale incombente, emettere il decreto di citazione a giudizio, ove trattasi di reati per i quali l'art. 550 prevede la citazione diretta (Cass. V, n. 19494/2004).

I reati per i quali è possibile procedere con citazione diretta a giudizio da parte del P.M.

L'art. 550 individua i reati in ordine ai quali si procede con citazione diretta a giudizio da parte del P.M., adottando un criterio misto, in parte quantitativo, in parte qualitativo; si prevede, inoltre, implicitamente, la necessità della richiesta di rinvio a giudizio e della successiva udienza preliminare per tutti i reati per i quali non sia espressamente prevista la citazione diretta a giudizio da parte del P.M.

Si procede con citazione diretta a giudizio:

1) per tutte le contravvenzioni;

2) per tutti i delitti (consumati o tentati) puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, anche congiunta a pena pecuniaria, determinata ai sensi dell'art. 4 c.p.p. (al cui commento si rinvia): analogo criterio è stato adottato dall'art. 33-bis, comma 2, c.p.p. per determinare la pena edittale rilevante ai fini del riparto tra le attribuzioni del giudice monocratico e di quello collegiale.

La giurisprudenza ha, in proposito, precisato (Cass. II, n. 39622/2004) che le regole per la determinazione della competenza fissate dall'art. 4, cui l'art. 550 rinvia, prevedono che non si tenga conto della continuazione ex art. 81, comma 2, c.p.;

3) per i reati nominativamente indicati dall'art. 550, comma 2, il cui numero è stato notevolmente ampliato dalla c.d. “riforma Cartabia” (art. 32, comma 1, lett. a, d. lgs. n. 150 del 2022, che ha riscritto il comma 2 dell'art. 550). In difetto di disposizioni transitorie ad hoc, la novella si applica in ossequio al principio tempus regit actum: ferma restando la legittimità del previo esercizio dell'azione penale con modalità in ipotesi diverse, a partire dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, il p.m. eserciterà l'azione penale con citazione diretta per i reati in ordine ai quali la novella ha introdotto tale previsione, anche se commessi in data anteriore.

L'art. 550, comma 2, non prevede la procedibilità con citazione diretta anche per le forme tentate dei reati ivi nominativamente indicati.

La dottrina ha osservato che alcune delle fattispecie indicate nominativamente dall'art. 550, comma 2 (in particolare, quelle di cui agli artt. 336, 337, 343, comma 2; 349, comma 2; 588, comma 2) rientrerebbero comunque, in forma tentata, quoad poenam, nell'ambito applicativo dell'art. 550, comma 1, poiché punite, per effetto della riduzione dei limiti edittali prevista per il tentativo, con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni; al contrario, i reati di cui agli artt. 625  (pluriaggravato) e 648 c.p. « risulterebbero punibili in forma tentata con pena superiore al suddetto limite: peraltro pur in difetto (per una evidente omissione del legislatore) di una espressa indicazione normativa, deve ritenersi che essi siano procedibili con citazione diretta anche in forma tentata, poiché non sarebbe ragionevole aver previsto la citazione in forma semplificata per le sole ipotesi consumate (più gravi) e non anche per quelle tentate » (Beltrani, Il delitto, 133). Si è anche ritenuto che, per i reati nominativamente indicati dall'art. 550, comma 2, deve procedersi con citazione diretta anche se sia contestata una aggravante ad effetto speciale: « la lettera della legge appare, in proposito, inequivocabile, giacché, ai sensi dell'art. 550 comma 1, delle disposizioni dettate dall'art. 4 deve tenersi deve tenersi conto ai fini (e soltanto ai fini) della determinazione della pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, operazione non dovuta ove si sia al cospetto di una delle fattispecie nominativamente indicate dal secondo comma della stessa norma » (Beltrani, 52).

La questione è stata risolta nel medesimo senso dalla giurisprudenza: « questa Corte, prima dell'entrata in vigore della riforma sul giudice unico (d.lg. n. 51/1998 e successive modifiche) ha risolto la stessa questione con riguardo alla ripartizione della competenza tra tribunale e pretore, nel senso che “in tema di competenza per materia del pretore la rilevanza delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, stabilita in via generale dall'art. 4 c.p.p., opera soltanto in relazione al criterio attributivo della competenza fissato nel primo comma dell'art. 7 c.p.p., giacché solo tale criterio si basa sul riferimento alla pena edittale. Detta rilevanza è invece da escludere con riguardo alle ipotesi previste nel comma 2 del citato art. 7, in cui l'attribuzione della competenza è fondata unicamente sul nomen iuris dei reati ivi contemplati, come dimostrato anche dal fatto che in talune di dette ipotesi, e, segnatamente, in quelle di cui alle lett. f) e g) (riguardanti, rispettivamente, il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di rissa), il legislatore, volendo invece attribuire rilievo a dette circostanze ad effetto speciale, ne ha fatto specifica menzione” (Cass. I, n. 3283/1999 e Cass. VI, n. 10773/2004). Gli stessi principi risultano recepiti nei riguardi della ripartizione della competenza tra tribunale in composizione collegiale e tribunale in composizione monocratica e quindi non vi è ragione per discostarsi da tale indirizzo. Nello stesso senso, deve essere interpretato anche l'art. 550, che, nell'individuazione dei casi in cui il P.M. provvede alla citazione diretta a giudizio, prevede l'ipotesi della resistenza a pubblico ufficiale (comma 2, lett. b), dovendosi intendere anche in questo caso, l'attribuzione della competenza ratione materiae, comprendendo quindi anche le ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 339 c.p. » (Cass. I, n. 34683/2006).

La forma di citazione per il reato di cui all’art. 624- bis c.p.

L'art. 550 prevede che si proceda con citazione diretta per il reato di furto aggravato ex art. 625 c.p.; si è posto il problema di individuare il regime di procedibilità per i reati previsti e puniti dall'art. 624-bis c.p. (sopravvenuto rispetto all'art. 550), che in origine costituivano circostanze aggravanti del furto, disciplinate proprio dall'art. 625 c.p.

Il problema comporta preliminarmente l'accertamento della natura giuridica di reati di cui all'art. 624-bis c.p. (furto in abitazione e furto con strappo: si tratta di fattispecie distinte):

- se si tratta di reati autonomi, dovrebbe procedersi con udienza preliminare;

- se si tratta di due ulteriori circostanze aggravanti del furto, dovrebbe procedersi con citazione diretta a giudizio da parte del P.M. (in applicazione, per analogia – che in materia processuale sarebbe consentita –, dell'art. 550 c.p.p.).

Con riguardo al diverso problema dell'assoggettamento o meno dell'art. 624-bis c.p. al “bilanciamento” con le attenuanti eventualmente concorrenti, Cass. IV, n. 9126/2005 osservò inizialmente che il fenomeno successorio consistito nell'abrogazione dell'art. 625, comma 1, n. 1 c.p. e nella contestuale previsione della fattispecie di reato di cui all'art. 624-bis c.p., non aggravata, di furto in appartamento, e di furto con strappo, introdotta dalla l. n. 128/2001, ebbe "proprio la funzione, in relazione alla maggiore gravità ed al conseguente allarme sociale di tale fattispecie di furto, di evitare la comparazione tra la preesistente circostanza aggravante ed attenuanti eventualmente concedibili, in particolare quelle generiche di cui all'art. 62-bis c.p.", concludendo che la fattispecie di cui all'art. 624-bis è autonoma rispetto a quella dell'art. 624 c.p. Nel medesimo senso, Cass. IV, n. 36606/2006 ribadì che i delitti previsti dall'art. 624-bis c.p. costituiscono figure autonome di reato rispetto a quella di furto semplice prevista dall'art. 624 c.p., e non ipotesi aggravata di quest'ultimo; l'orientamento aveva avuto l'implicito avallo della Corte costituzionale (Corte cost. ord. n. 127/2003); a tali fini, la natura di reato autonomo dell'art. 624-bis c.p. è stata ulteriormente ribadita da Cass. IV, n. 43452/2009, ma contraddetta da Cass. IV n. 48436/2012.

Risulta, peraltro, ormai non più in discussione l'orientamento per il quale i furti previsti dall'art. 624-bis c.p. costituiscono reato autonomo e non tuttora fattispecie circostanziata di furto (per tutte, Cass. S.U. n. 46625/2015, in motivazione; nel medesimo senso, successivamente, Cass. V n. 8333/2016 e Cass. II n. 17705/2022).

Se l'art. 624-bis c.p. prevede un reato autonomo, la forma di citazione non dovrebbe essere quella prevista dall'art. 550 c.p.p., perché trattasi di reato punito con pena edittale massima superiore a quattro anni, e non rientrante nella previsione di cui all'art. 550, comma 2, lett. f, c.p.p. (quando non aggravato ai sensi dell'art. 625 c.p.).

Tuttavia, questa pur possibile interpretazione letterale desta all'evidenza insoddisfazione. Se il reato di cui all'art. 624-bis c.p. fosse a sua volta aggravato ex art. 625 c.p. (come è sempre possibile) si dovrebbe procedere a citazione diretta (secondo quanto previsto dall'art. 550): ma che senso avrebbe procedere per la fattispecie base - meno grave - con udienza preliminare, e per quella aggravata – più grave – con citazione diretta ? quale la possibile ratio di questa discrasia?

Non a caso, quando ha esaminato direttamente il problema, la giurisprudenza è giunta a conclusioni diverse, con orientamento ormai consolidato. Cass. V, n. 40489/2002 aveva inizialmente osservato che tra i reati per i quali il pubblico ministero esercita l'azione penale mediante citazione diretta è compreso - ai sensi dell'art. 550, comma 2, lett. f), c.p.p. - il delitto di furto aggravato a norma dell'art. 625 c.p., e tale espressione si riferisce, quando siano contestate una o più aggravanti specifiche del delitto di furto, anche alle figure delittuose previste dall'art. 624-bis c.p. Successivamente, Cass. V, n. 22256/2011, esaminando direttamente il problema in esame,  ha osservato che la mancata inserzione - nell'ambito della disciplina processuale di cui all'art. 550 c.p.p. – tra le fattispecie per le quali si procede con citazione diretta a giudizio del P.M. dell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 624-bis c.p. "deriva dalla sua introduzione successiva all'entrata in vigore del vigente codice di rito e, susseguentemente, dalla mancata previsione del necessario adeguamento normativo cui è possibile supplire in via interpretativa, considerato che il delitto di furto aggravato, ai sensi dell'art. 625 c.p. - contemplato dall'art. 550, comma 2, lett. f), c.p.p. - e il delitto di furto in abitazione risultano puniti con la medesima pena detentiva della reclusione da uno a sei anni". Nel medesimo senso si sono successivamente pronunciate Cass. VI, n. 29815/2012 e Cass. V, n. 43958/2017– che, sul presupposto della procedibilità a citazione diretta, ha ritenuto che per i furti ex art. 624-bis c.p. è ammessa l'operatività dell'istituto della sospensione del processo per messa alla prova ex art. 168-bis c.p.- e Cass. V, n. 3807/2018; Cass. IV, n. 53382/2016 ha anche precisato che sarebbe abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento che disponga la restituzione degli atti al P.M., per avere esercitato l'azione penale, in ordine al delitto di cui all'art. 624-bis c.p., nelle forme della citazione diretta a giudizio, senza celebrazione dell'udienza preliminare, "attesa la conseguente stasi insuperabile del processo, non potendosi, da un lato, reiterare il medesimo decreto di citazione diretta (perché già annullato) e, dall'altro, procedere con una richiesta di rinvio a giudizio, perché non corretta, avuto riguardo al titolo di reato".

Per il reato di cui all'art. 624-bis c.p. si procede, quindi, con citazione diretta da parte del P.M., anche quando non è aggravato ex art. 625 c.p.

La giurisprudenza ha successivamente ribadito che, per i delitti di furto in abitazione e di furto con strappo, previsti dall'art. 624-bis c.p., pur a seguito dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che ha apportato modifiche ai minimi edittali, si procede con citazione diretta a giudizio (Cass. IV, n. 1792/2019 ); e si è, in proposito, ritenuto che sarebbe abnorme, in quanto determinante un'indebita regressione, nonché la stasi del procedimento, il provvedimento del giudice del dibattimento che, a fronte del corretto esercizio dell'azione penale nelle forme della citazione diretta a giudizio per il delitto di cui all'art. 624-

bis , c.p., come modificato dalla legge 26 aprile 2019, n. 36, disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la richiesta di rinvio a giudizio ( Cass. V, n. 28694/2022 ) ); diversamente, non sarebbe abnorme il provvedimento del GUP che, investito della richiesta di rinvio a giudizio per il delitto di cui all'art. 624-bis c.p., anche dopo l'aumento dei limiti edittali previsto dalla legge 26 aprile 2019 n. 36, disponga, fuori dall'udienza preliminare, la restituzione degli atti al pubblico ministero per l'esercizio dell'azione penale nelle forme della citazione diretta a giudizio (Cass. V, n. 9601/2021).

Questioni di costituzionalità

È stata dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'intero titolo IX del libro V del codice di procedura penale e dell'art. 550, comma 1, dello stesso codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 Cost., nella parte in cui limita i casi di citazione diretta a giudizio, in aggiunta alle ipotesi di cui al comma 2 del medesimo articolo, alle contravvenzioni e ai delitti puniti con la pena della reclusione non superiore a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva. La Corte costituzionale (Corte cost. ord. n. 182/2009), premesso che con la questione di costituzionalità il giudice rimettente chiedeva, nella sostanza, di sopprimere l'istituto dell'udienza preliminare (divenuto, a suo avviso, inutile dopo che la l. n. 479/1999 ha previsto il diritto incondizionato dell'imputato di accedere al giudizio abbreviato), e che « in tal modo, il giudice a quo viene ad invocare, con ogni evidenza, un intervento manipolativo di sistema, estraneo, in linea di principio, all'ambito della giustizia costituzionale », mirando, infatti, « a rimodulare la disciplina del processo penale di primo grado in uno snodo nevralgico, nella prospettiva di dare a esso un diverso assetto, reputato dal giudice a quo preferibile sulla base di una sua personale opzione, opposta a quella adottata, nell'ambito della sua discrezionalità, dal legislatore, il quale, con la citata l. n. 479/1999, ha inteso viceversa accrescere la funzione di garanzia e deflattiva dell'udienza preliminare, anche rispetto a quella tradizionale di controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell'azione penale, quantomeno per i reati di maggiore gravità », ha osservato che « l'auspicato riassetto non potrebbe, d'altronde, esaurirsi nell'ipotizzato intervento ablativo del corpo normativo denunciato e nella declaratoria di parziale incostituzionalità del citato art. 550 comma 1, ma imporrebbe una revisione ad ampio spettro dell'intero sistema processuale, stante il complesso di collegamenti, in esso presenti, con le norme di cui si invoca la rimozione (basti considerare, a titolo di esempio, che la stessa disciplina del giudizio abbreviato è basata su una serie di richiami alle disposizioni regolative dell'udienza preliminare) ».

Successione di leggi nel tempo

In tema di successione di leggi processuali nel tempo, non opera il principio di retroattività della legge più favorevole.

 Una isolata decisione (Cass. II, n. 9876/2021), in tema di citazione diretta a giudizio, ha sostenuto che il rinvio previsto dall'art. 550 c.p.p. alla pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, sia "fisso" e debba, pertanto, in ossequio all’inderogabile principio tempus regit actum in ambito processuale, essere riferito alla norma vigente al momento dell'esercizio dell'azione penale e non già a quella di diritto sostanziale concretamente applicabile all'imputato, sulla base dei criteri che regolano la successione delle leggi penali del tempo: in applicazione del principio, con riferimento al reato di cui all'art. 642 c.p., la cui pena - in data successiva alla consumazione ma antecedente all'esercizio dell'azione penale - era stata aumentata nel massimo edittale a cinque anni, è stata annullata la sentenza emessa a seguito di citazione diretta a giudizio.

L’orientamento appare quanto mai opinabile, pretendendo di commisurare la procedibilità o meno a citazione diretta ad una cornice sanzionatoria che, per essere sopravvenuta e sfavorevole, non può trovare in concreto applicazione. In realtà, il riferimento operato dall’art. 550 c.p.p. evoca la pena edittale massima applicabile all’imputato per il reato ascrittogli; sarebbe, tra l’altro, all’evidenza irragionevole voler determinare il regime di procedibilità in riferimento ad una sanzione non applicabile.

Merita, pertanto, condivisione  l’opposto orientamento espresso da Cass. V, n. 35588/2017 (che ha ritenuto legittima la citazione diretta a giudizio dell'imputato del reato di cui all’art. 612-bis c.p. commesso prima della modifica normativa che, aumentando il limite edittale della pena, ha introdotto la necessità dell'udienza preliminare).

Casistica

In tema di reati tributari, la fattispecie di cui all'art. 2, comma 3, d.lgs. n. 74/2000 - applicabile ai fatti anteriori al 14 settembre 2011, in quanto abrogata dal d.l. n. 138/2011, convertito dalla l. n. 148/2011- ha natura di circostanza attenuante del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui al comma 1 dello stesso articolo, e non di fattispecie autonoma di reato; ne consegue che non si procede con citazione diretta, ma previa celebrazione dell'udienza preliminare (Cass. III, n. 5720/2016).

L’avviso di chiusura delle indagini preliminari

Anche nei casi in cui si procede con citazione diretta, l'indagato ha diritto all'avviso della conclusione delle indagini preliminari, ai sensi dell'art. 415-bis, le cui disposizioni sono espressamente richiamate, in quanto compatibili, dall'art. 550, comma 1.

La giurisprudenza ha, in proposito, ritenuto che, quando il decreto di citazione diretta a giudizio venga dichiarato nullo per omissione dell'udienza preliminare nelle ipotesi in cui essa era necessaria, ed il procedimento regredisca alla fase in cui si doveva far luogo all'atto mancante (ovvero, con trasmissione degli atti al p.m. perché inoltri la richiesta di rinvio a giudizio propedeutica alla fissazione dell'udienza preliminare), non è richiesta la rinnovazione dell'avviso ex art. 415-bis  in precedenza già ritualmente effettuato (Cass. V, n. 10005/2008).

Per tutte le altre questioni applicative inerenti all'avviso di chiusura delle indagini preliminari, si rinvia al commento sub art. 415-bis.

Per la non necessità dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari nei casi in cui il G.i.p., investito della richiesta di archiviazione del p.m., disponga l'imputazione coatta, si rinvia sub art. 549. 

I vizi della citazione diretta a giudizio

Con riguardo alla rilevanza ed alla deducibilità e/o rilevabilità di vizi nel procedimento di citazione a giudizio, l'art. 550, comma 3, stabilisce che, se il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale con citazione diretta per un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare, e la relativa eccezione è proposta entro il termine indicato dall'art. 491, comma 1 (e cioè « subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti », poiché in caso contrario si verificherebbe una preclusione operante anche nel caso di successiva rinnovazione del dibattimento: è palese, al riguardo, l'intenzione del legislatore di confinare la questione in limine litis, onde evitare possibili intralci al celere svolgimento del processo), il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda nei modi di cui all'art. 416.

La necessità, prevista dall'art. 550, comma 3, dell'eccezione di parte evidenzia che il giudice non può rilevare la questione d'ufficio, e tale previsione, secondo la dottrina, « può essere spiegata con il rilievo che soltanto la parte è in grado di valutare se il mancato svolgimento dell'udienza preliminare si sia risolto, o meno, in un pregiudizio apprezzabile in suo danno, e se, pertanto, sia opportuno, o meno, rinunziare ex post ad essa » (Beltrani, 52). La formulazione della norma — che configura chiaramente l'eccezione come una reazione all'indebito esercizio dell'azione penale da parte del p.m., cui può avere interesse soltanto l'imputato, atteso che lo svolgimento dell'udienza preliminare è posto a tutela unicamente del suo diritto di difesa, e che dalla sua omissione non derivano pregiudizi a carico della pubblica accusa —, lascia ritenere che legittimati all'eccezione siano soltanto l'imputato ed il difensore, non anche il pubblico ministero. Nel caso in cui l'eccezione sia stata a torto rigettata, la questione può essere dedotta, a pena di decadenza, come motivo di impugnazione, ed il giudice dell'impugnazione, nel caso in cui la ritenga fondata, dovrà annullare la sentenza di primo grado e trasmettere gli atti al p.m. perché proceda ex novo (con richiesta di rinvio a giudizio, ed udienza preliminare).

Coerentemente, la giurisprudenza evidenzia che, nel procedimento davanti al tribunale monocratico, la scelta erronea del pubblico ministero, il quale proceda con citazione diretta per un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare, non dà luogo a nullità assoluta ed insanabile, ma solo ad una nullità a regime intermedio nel caso di specie non rilevabile d'ufficio, ma unicamente eccepibile, a pena di decadenza, subito dopo il compimento, per la prima volta, dell'accertamento della costituzione delle parti (Cass. I, n. 5967/2015 e Cass. V, n. 9875/2014); sarebbe, pertanto, abnorme, e quindi immediatamente ricorribile per Cassazione, il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio, per omessa celebrazione dell'udienza preliminare, dopo che siano state compiute le formalità indicate dall'art. 491 in quanto esse, per effetto della previsione dell'art. 550, comma 3, segnano il momento a partire dal quale tali nullità devono ritenersi sanate (Cass. VI, n. 39931/2014); sarebbe anche abnorme il provvedimento con cui il giudice monocratico, ritenuta la nullità del decreto di rinvio a giudizio emesso dal P.M. per un reato a citazione diretta, disponga la restituzione degli atti al G.i.p. sul presupposto, erroneo, che il reato in questione avrebbe richiesto la celebrazione dell'udienza preliminare (Cass. VI, n. 12830/2013: nel caso di specie, relativo al reato previsto dall'art. 392 c.p., si era determinata la regressione del procedimento ad una fase non prevista ed il G.i.p. non avrebbe potuto comunque adottare alcun provvedimento in assenza di una richiesta del P.M.).

La citata disciplina si applica soltanto nel caso in cui il reato sia attribuito al giudice monocratico, poiché, ove, al contrario, il reato rientri tra le attribuzioni del collegio, il giudice, ai sensi dell'art. 33-quinquies, potrebbe rilevare il proprio difetto di attribuzioni, anche d'ufficio, e nello stesso termine di cui all'art. 491.

La giurisprudenza ha anche ritenuto che:

a) non è abnorme, e, conseguentemente, non è immediatamente ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare, previa riqualificazione dei fatti oggetto dell'imputazione, ordini la restituzione degli atti al pubblico ministero perché proceda nelle forme della citazione diretta a giudizio (Cass. VI, n. 41037/2009  e Cass. VI, n. 6945/2019; conforme, Cass. I, n. 47766/2008, con la precisazione che a nulla rileva la circostanza che la qualificazione giuridica del fatto accolta dal g.u.p. sia erronea, poiché ciò comporterebbe l'erroneo esercizio di un potere del quale il g.u.p. è tuttavia titolare, con la conseguente non configurabilità di profili di abnormità. In senso contrario, peraltro, altro orientamento (Cass. V, n. 10531/2018 e Cass. V, n. 35153/2016;  Cass. III, n. 51424/2014) sostiene condivisibilmente che è abnorme, in quanto determina una indebita regressione del processo, il provvedimento del giudice dell'udienza preliminare il quale, investito della richiesta di rinvio a giudizio per un reato che prevede la celebrazione dell'udienza preliminare, disponga, previa riqualificazione giuridica del fatto, la restituzione degli atti al P.M., ai sensi dell'art. 33-sexies c.p.p., affinchè si proceda con citazione diretta; invero, ove si ammettesse tale possibilità, si precluderebbe al pubblico ministero di insistere sull'originaria imputazione, in quanto il rifiuto del giudice di celebrare l'udienza impedirebbe anche il successivo ricorso a contestazioni suppletive, come disciplinate dall'art. 521-bis). Analogamente, sono abnormi il provvedimento del giudice del dibattimento che disponga la restituzione degli atti al P.M., il quale abbia esercitato l'azione penale nelle forme della citazione diretta a giudizio ritenendo che occorre procedere alla celebrazione dell'udienza preliminare sul presupposto della operatività di una circostanza aggravante ad effetto speciale in realtà non applicabile “ratione temporis”, attesa la conseguente stasi non superabile del processo, non potendo il P.M. procedere contestando l'aggravante medesima (Cass. III, n. 8708/2013) ed il provvedimento del giudice del dibattimento che, ritenendo erroneamente necessaria l'udienza preliminare, disponga la restituzione degli atti al P.M., per avere esercitato l'azione penale - in ordine al delitto di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 - nelle forme della citazione diretta a giudizio, attesa la conseguente stasi insuperabile del processo, non potendo, da un lato, essere emesso un nuovo decreto di citazione diretta e, dall'altro, non potendo il P.M. procedere con una richiesta di rinvio a giudizio, la cui non rispondenza alla disciplina processuale sarebbe oggetto di rilevazione da parte del Collegio (Cass. VI, n. 52160/2016);

b) non è abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento che, a norma del terzo comma dell'art. 550, disponga la trasmissione degli atti al p.m. nel caso in cui sia stata esercitata l'azione penale con citazione diretta per un reato per il quale era, invece, prevista l'udienza preliminare (Cass. III, n. 33943/2002: fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto non abnorme l'ordinanza del giudice monocratico che aveva dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio per il reato di cui all'art. 4, lett. f), l. n. 516/1982, in considerazione della necessità di fissare l'udienza preliminare prevista in ordine all'imputazione da riformularsi alla luce della sopravvenuta disciplina di cui al d.lgs. n. 74/2000).

E' abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, l'ordinanza del giudice dell'udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell'art. 33-sexies, c.p.p., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull'erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta  a giudizio, trattandosi di atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale contra legem ed in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonché la stasi del procedimento (Cass. S.U., n. 37502/2022).

Diversamente rispetto a quanto previsto dalla disciplina sin qui esaminata, l'art. 33-sexies (come sostituito dall'art. 47 l. n. 479/1999), prevede che il G.u.p., nel caso in cui — nel corso dell'udienza preliminare — ritenga che si dovesse procedere con citazione diretta a giudizio, ricorrendo una delle ipotesi di cui all'art. 550, deve trasmettere con ordinanza gli atti al p.m. per l'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell'art. 552,  c.p.p. dando immediata lettura (che equivale a notificazione per le parti presenti) del provvedimento ai sensi del richiamato art. 424, comma 2« la disposizione è in linea con la diversa regola che collega l'udienza preliminare al tipo di reato e non più alla composizione collegiale o meno del giudice del dibattimento, e privilegia la correttezza delle modalità di esercizio dell'azione penale, escludendo che sia comunque il giudice dell'udienza preliminare, una volta rilevato il difetto, a disporre il rinvio a giudizio [...]. La trasmissione degli atti al pubblico ministero è disposta allo scopo di salvaguardare il diritto dell'imputato di presentare richiesta di definizione anticipata del procedimento, mediante giudizio abbreviato, applicazione di pena a norma dell'art. 444, ovvero domanda di oblazione, nei termini stabiliti dall'art. 552 comma 2, nel testo modificato dall'art. 44 della l. n. 479/99 » (Carcano, 51).

La dottrina ha trovato incomprensibile il motivo per il quale in dibattimento (sia pur con riguardo ai soli reati rientranti fra le attribuzioni del giudice monocratico) è sottratta al giudice la possibilità di rilevare d'ufficio che il reato di cui trattasi rientra tra quelli per il quale sarebbe stato necessario procedere con udienza preliminare e non con citazione diretta a giudizio da parte del p.m., mentre in udienza preliminare è sempre attribuito al giudice il potere-dovere di rilevare che l'udienza preliminare viene indebitamente celebrata, dovendosi procedere con citazione diretta a giudizio; in proposito, si è evidenziato che, in tal modo, inconcepibilmente, « quando l'imputato ha avuto più garanzie del dovuto, il giudice può intervenire per “reprimere” la generosità del pubblico ministero, mentre nel caso opposto gli è impedito di attivarsi per assicurare una corretta gestione dell'azione penale » (Marzaduri, 75).

Sarebbe abnorme il provvedimento con il quale il tribunale, rilevato che l'azione penale doveva essere esercitata con citazione diretta ex art. 550, disponga la trasmissione degli atti al p.m., previa dichiarazione di nullità del decreto di citazione a giudizio: « non essendo, comunque, comminata alcuna nullità per il caso in cui l'azione sia esercitata con la richiesta di rinvio a giudizio e non con citazione diretta — come, invece, nell'ipotesi inversa — in quanto in tal modo il diritto di difesa troverebbe maggior tutela, la restituzione degli atti deve ritenersi illegittima. Ne consegue che la declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio, con l'ordine di restituzione degli atti al p.m. perché proceda con citazione diretta, integra un provvedimento abnorme, per l'esercizio di un potere che non è riconosciuto al tribunale dalla legge e che ha altresì prodotto un'anomala regressione del processo alla fase anteriore » (Cass. II, n. 13466/2005).

Il P.M. cui siano stati trasmessi gli atti ai sensi dell'art. 550, comma 3, perché proceda con richiesta di rinvio a giudizio, non può sollevare conflitto ex art. 28 (ammissibile solo tra organi giurisdizionali, ma non configurabile, neanche sub specie di “caso analogo”, tra pubblico ministero e giudice: cfr. Cass. I, n. 26733/2009 e Cass. I, n. 17357/2009); il conflitto potrebbe, peraltro, essere sollevato dal g.u.p. successivamente investito della richiesta di rinvio a giudizio, che cionondimeno ritenga doversi procedere con citazione diretta.

Requisiti di capacità del giudice

In tema di capacità del giudice, i giudici onorari, in base all'art. 43-bis ord. giud., possono trattare tutti i processi di cui all'art. 550, senza alcuna distinzione tra fase di cognizione e fase di esecuzione (Cass. III, n. 55119/2016).

La citazione a giudizio immediato

La nuova previsione della possibilità che la citazione a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica avvenga all'esito dell'udienza preliminare rende parzialmente (ovvero limitatamente ai casi in cui non debba procedersi a citazione diretta) compatibile l'odierno rito “monocratico” con il giudizio immediato, in precedenza sempre incompatibile con il rito pretorile (che era caratterizzato, come detto, dalla costante assenza dell'udienza preliminare): pertanto, nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, il giudizio immediato è ammesso solo nei casi in cui sia prevista l'udienza preliminare, cioè quando la vocatio in ius non avvenga tramite il meccanismo della citazione diretta a giudizio (Cass. IV, n. 7295/2004 e Cass. I, n. 24170/2010).

Si è, conseguentemente, ritenuto che:

a) non è abnorme l'ordinanza con la quale il G.i.p., investito della richiesta di giudizio immediato, una volta riscontrata la violazione dell'art. 550, per essersi proceduto con rito immediato in riferimento ad una fattispecie (furto aggravato) per la quale l'azione avrebbe dovuto esercitarsi mediante citazione diretta a giudizio, disponga non luogo a provvedere su detta richiesta ed ordini la restituzione degli atti al p.m. (Cass. IV, n. 7295/2004, con la precisazione che il provvedimento non potrebbe comunque considerarsi abnorme, in quanto non produttivo di una situazione di stallo nel procedimento, ed ha ritenuto possibile un'estensione analogica al caso in questione della disciplina sulla restituzione degli atti che l'art. 33-sexies riferisce testualmente al g.u.p.);

b) non è abnorme l'ordinanza con la quale il giudice del dibattimento, investito della richiesta di giudizio immediato formulata con riferimento a reato per il quale l'azione penale doveva essere esercitata mediante citazione diretta a giudizio, ordini la restituzione degli atti al p.m., in quanto dall'omissione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari può derivare una lesione della facoltà di intervento dell'imputato rilevante a norma dell'art. 178, comma 1, lett. c) (Cass. I, n. 8227/2010: la S.C. ha aggiunto che il giudice del dibattimento può sindacare i presupposti e le condizioni per l'ammissione del giudizio immediato qualora essi si risolvano in violazioni di norme procedimentali concernenti l'intervento, l'assistenza o la rappresentanza dell'imputato);

c) non è abnorme l'ordinanza con la quale il g.i.p., investito della richiesta di giudizio abbreviato conseguente alla notificazione di un decreto di giudizio immediato, una volta riscontrata la violazione dell'art. 550 per essersi proceduto con rito immediato in riferimento ad una fattispecie per la quale l'azione avrebbe dovuto esercitarsi mediante citazione diretta a giudizio, disponga non luogo a provvedere su detta richiesta ed ordini la restituzione degli atti al p.m. (Cass. V, n. 40489/2002). Sarebbe affetta da nullità assoluta, per indebito mutamento del giudice naturale, la sentenza resa dal g.i.p. (funzionalmente incompetente) all'esito del giudizio abbreviato chiesto a seguito dell'errata emissione del decreto di giudizio immediato per reati in ordine ai quali doveva invece procedersi con citazione diretta (Cass. IV, n. 41073/2010).

È, invece, abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento che disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero, in base all'errato convincimento della necessità dell'udienza preliminare, nel caso di giudizio immediato (nella fattispecie: per il reato di cui all'art. 495 c.p.), sorto a seguito di opposizione a decreto penale (Cass. V, n. 32160/2016).

Un orientamento ritiene che l'instaurazione del giudizio immediato per reati per i quali l'esercizio dell'azione penale deve avvenire con citazione diretta  integra una ipotesi di nullità assoluta, in quanto, oltre a precludere all'imputato il diritto a ricevere la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis c.p.p., determina un indebito mutamento del giudice naturale all'esito del giudizio abbreviato (Cass. IV, n. 3805/2015); in senso contrario, si è, peraltro, successivamente ritenuto che trattasi di nullità di ordine generale a regime intermedio, che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante, ai sensi dell'art. 183 c.p.p. (Cass. V, n. 40002/2019).

È legittimo il decreto di giudizio immediato emesso congiuntamente per reati a citazione diretta connessi ad altri per i quali è prevista l'udienza preliminare, se per entrambi i reati sussistono i presupposti di cui all'art. 453  (Cass. I, n. 49821/2016 e Cass. V, n. 15189/2016).

Fuori dai casi in cui si proceda con rito alternativo, si è, tuttavia, ritenuto che la citazione a giudizio immediato in luogo della citazione diretta comporti una mera irregolarità, non sanzionata processualmente in giudizio (Cass. IV, n. 36881/2009).

Si è anche evidenziato che la costituzione di parte civile, ritualmente avvenuta in apertura dell'udienza dibattimentale tenuta a seguito di citazione diretta a giudizio disposta dal p.m., conserva la sua validità anche nel caso in cui il tribunale monocratico abbia disposto la regressione del procedimento alla fase dell'udienza preliminare (ritenendo non ricorrere i casi di cui all'art. 550): « la regressione del procedimento nella fase dell'udienza preliminare non caduca tale atto. Infatti, ai sensi dell'art. 76, comma 2, c.p.p., la costituzione produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo. Si tratta del principio d'immanenza della costituzione di parte civile, enunciato pure dalle sezioni unite (Cass. S.U., n. 30327/2002), anche se in un differente quadro problematico. Del resto, in applicazione di tale principio, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che gli effetti della costituzione non vengono meno per effetto della nullità del decreto di citazione diretta a giudizio » (Cass. IV, n. 36613/2006).

In senso contrario, in dottrina, Vergine, 1063 s., per il quale in presenza di siffatta fattispecie si verificherebbe una regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, che è incompatibile con la pretesa risarcitoria del danneggiato, e conseguentemente si determinerebbe una nullità — derivata — della costituzione di parte civile).

Citazione diretta e misure cautelari

L'emissione di un decreto di citazione diretta a giudizio degli interessati non preclude – nell'ambito del sub-procedimento riguardante l'applicazione delle misure cautelari reali - la proponibilità della questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti, atteso che l'ipotesi di instaurazione del processo ex art. 550 differisce, sotto il profilo dell'effetto preclusivo di tale questione, da quella di rinvio a giudizio a seguito di udienza preliminare, nella quale l'esistenza degli elementi costituenti il "fumus" è già stata oggetto di un positivo scrutinio da parte di un organo giurisdizionale chiamato a vagliare la sostenibilità in giudizio dell'accusa e non può pertanto essere oggetto di successiva doglianza in sede cautelare (Cass. III, n. 13509/2016 e Cass. III, n. 19991/2017).

Il principio vale, a maggior ragione, in riferimento alle misure cautelari personali.

Casistica

In tema di estinzione della custodia cautelare per il decorso dei termini di durata massima, i termini stabiliti dall'art. 303, comma 1, lett. a), c.p.p., per la fase che inizia con l'esecuzione della misura cautelare e si conclude con il provvedimento che dispone il giudizio, non decorrono nuovamente qualora, nel corso dell'udienza preliminare, il giudice - ritenendo che per il reato contestato debba procedersi con citazione diretta a giudizio - pronunci ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 33-sexies c.p.p., per l'emissione del decreto di citazione (Cass. II, n. 43666/2016, che ha escluso la configurabilità di una regressione del procedimento idonea a determinare una nuova decorrenza dei termini di custodia, ai sensi del comma secondo del predetto art. 303, in quanto l'ordinanza di trasmissione degli atti al P.M. è emessa nel corso di una unica fase, ancora non conclusa, comprendente sia le indagini preliminari che l'udienza preliminare).

Bibliografia

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